Siamo arrivati a Butea la sera del 2 agosto dove ci hanno accolti a braccia aperte le suore missionarie della Passione di Gesù. Abbiamo ufficialmente iniziato il campo di lavoro la mattina seguente, dividendoci fra il lavoro dei campi, il raccolto degli ortaggi a Sceia, la tinteggiatura della cappella nella casa delle suore, la compagnia agli anziani e l’animazione per i bambini di Miclauseni. Tutte le attività sono state istruttive e hanno lasciato dentro ognuno di noi qualcosa di speciale e ci ha permesso di raggiungere un obiettivo comune che ci ha unito fin dalla partenza da Milano: aiutare il prossimo. La raccolta degli ortaggi lo ha reso possibile da un punto di vista pratico, e anche un po’ faticoso, l’animazione a bambini ed anziani dal punto di vista umano.
Fin dal primo giorno i bambini si sono mostrati entusiasti del nostro arrivo. Infatti ogni volta che ci vedevano arrivare sul furgoncino iniziavano a correrci dietro e ad urlare dalla gioia, forse erano felici proprio di aver qualcuno che fosse lì apposta per loro, per farli giocare e divertire invece di passare le giornate a gironzolare per le strade del paese. Petro e Ana sono due ragazze che vivono nella missione delle suore, parlano perfettamente italiano e per questo sono state le nostre traduttrici per tutto il tempo del campo di lavoro, aiutando noi animatori a farci comprendere. Inizialmente eravamo preoccupati di non riuscire a creare un buon rapporto a causa della lingua ma col passare dei giorni si è rilevato di scarsa importanza poiché i bambini erano incredibilmente affettuosi e hanno subito imparato i nomi degli animatori così come noi ci siamo impegnati a ricordare le poche parole necessarie alla vita quotidiana: “bahar” (bicchiere), “gata” (basta), “apa” (acqua) o “adunara” (tutti qua), grazie ad esse riuscivamo a farci capire. Ma, è inutile sottolineare, la vera comunicazione è avvenuta tramite il linguaggio universale: le risate e i sorrisi mentre giocavamo tutti insieme e ci divertivamo e anche le urla nei momenti in cui era difficile farsi ascoltare. Spesso al campo venivano alcuni genitori che si sedevano sul prato e osservavano i loro figli; non avevano molto altro da fare nella loro giornata. Tramite l’aiuto delle suore abbiamo cercato di capire e conoscere anche loro, che tipo di vita conducono a causa della povertà, che tipo di famiglie hanno. Abbiamo così scoperto che per molti le case sono costituite da una stanza nella quale sono costretti a vivere in troppi, anche più di una famiglia nella stessa abitazione. Sono rimasta molto sorpresa dal fatto che quando mi hanno vista con la macchina fotografica alcuni di loro hanno chiamato a sé i figli e mi hanno chiesto di scattare qualche foto di famiglia. Un giorno invece abbiamo girato per il paese e, con alcune ragazze locali, siamo andati a regalare sacchetti contenenti cibo per i più bisognosi, per la maggior parte anziani non più autosufficienti. Le mattine con gli anziani della casa di riposo erano decisamente tranquille e comunque molto istruttive. Anche in questa occasione abbiamo ascoltato racconti di ogni genere, per noi fuori dal mondo ma purtroppo realtà e nemmeno troppo lontana da dove abitiamo, l’Europa. È stato interessante e commovente anche il fatto che dopo averci raccontato le loro esperienze ci hanno chiesto da dove veniamo, quanti anni abbiamo e cosa facciamo nella vita. C’era una donna che mi ha colpito particolarmente perché sembrava davvero bisognosa di compagnia e di chiacchierare, ci ha raccontato dei suoi 11 figli e di come ne avesse persi quattro e quanto ora sia lontana da quelli ancora in vita. Inoltre una sera suor Elisabetta ha raccontato come fondò la missione a Butea nel 1999. Dal nulla le è stato chiesto di partire per questo paese piccolissimo e desolato. È incredibile pensare con che forza e soprattutto con che fede è riuscita a realizzare un’opera così utile e significativa per un gran numero di persone. È davvero un esempio per tutti noi sia da un punto di vista spirituale, nel credere sempre che Gesù sia dalla nostra parte nonostante le avversità della vita, ma anche da un punto di vista pratico per la sua tenacia nella perseveranza di un così grande sforzo organizzativo e finanziario.
Il contatto diretto con la gente del posto, con una cultura diversa e soprattutto con un divario sociale così vasto sono state un’esperienza importante che ci ha permesso di ascoltare storie raccontate in prima persona particolarmente commoventi e che per questo terremo sempre nel cuore. Abbiamo dedicato momenti alla riflessione, al ringraziamento a Dio per ciò che ci è stato donato e abbiamo capito che condividere tali doni, aiutando chi ne ha più bisogno, è un ulteriore privilegio e una gioia.